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Il collasso della globalizzazione neoliberale

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I

 

Il primo maggio del 1974 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella sua sesta Sessione Speciale, adottò la ‘Dichiarazione per la Costituzione di un nuovo Ordine Economico Internazionale’ che poneva una particolare enfasi sulla paritaria sovranità degli Stati. Sottolineando i principi di base di un ordine economico equo, la Dichiarazione richiedeva ‘una piena ed effettiva partecipazione su una base di eguaglianza tra tutte le nazioni, nella risoluzione dei problemi economici mondiali, nell’interesse di tutte le nazioni’ (Paragrafo 4[c]). In quel tempo gli stati membri delle Nazioni Unite sottolinearono anche l’importanza di una ‘piena e permanente sovranità di ogni stato sulle sue risorse naturali e su tutte le attività economiche’ (Paragrafo 4[e])

 

L’assemblea generale in seguito, durante la stessa sessione, adottò un ‘programma di azione’ riguardante l’economia internazionale, con un capitolo relativo al sistema monetario internazionale. E’ interessante – considerando la situazione in cui ci troviamo in questi giorni- richiamare alcuni di questi punti scritti dai rappresentanti della comunità internazionale. Prima di tutto, gli stati membri dell’ONU richiesero misure per ‘eliminare l’instabilità del sistema monetario internazionale, in particolare l’incertezza dei tassi di cambio.’ Il secondo punto, che mi piacerebbe ricordare, è relativo all’enfasi degli stati membri relativa al ‘mantenimento del vero valore delle riserve monetarie delle nazioni in via di sviluppo.’ A questo proposito, chiesero – più di tre decenni fa! – ‘la creazione di liquidità internazionale… attraverso un meccanismo internazionale multilaterale.’

 

In una riunione di esperti sull’idea di un nuovo orfine economico internazionale, che l’Organizzazione Internazionale per il Progresso tenne a Vienna nell’aprile del 1979, i nostri esperti avevano anche enfatizzato il principio ‘della reciproca responsabilità economica’ a livello internazionale e la necessità di ‘spostare l’attenzione,’ per quanto riguardava il sistema dei valori, ‘dall’avere all’essere e dal consumo alla qualità della vita.’ In generale, noi avevamo richiesto, durante questo incontro, che l’economia si fondasse su principi etici. In una conferenza sulle sfide della globalizzazione, tentuasi all’Università di Monaco nel 1999, la nostra organizzazione aveva ulteriormente messo in guardia sulla minaccia dell’instabilità globale risultante da mercati completamente privi di regole, che operassero sulla base di una fallace interpretazione della nozione di libertà individuale.

 

 

II

 

In maniera deplorevole, in più di tre decenni passati dall’iniziativa dell’ONU per un nuovo ordine economico internazionale, l’economia globale si è sviluppata nella direzione opposta. La visione dell’Assemblea Generale di un nuovo ordine economico internazionale fu effettivamente rigettata dai paesi industrializzati al Summit dei 22 leader mondiali (che includeva anche 14 leader dai paesi in via di sviluppo) a Cancùn, in Messico, nell’ottobre del 1981. Mi piacerebbe qui ricordare il ruolo della delegazione statunitense guidata dal Presidente Ronald Regan, così come il suo preoccupante rifiuto alle richieste delle nazioni in via di sviluppo. L’intera nozione di u nuovo ordine economico internazionale fu effettivamente sepolto in quell’occasione.

Da quel momento il progetto neoliberale di globalizzazione andò avanti, con uno zelo ideologico sempre crescente, nonostante gli avvertimenti e le proteste di molti leader dei paesi in via di sviluppo. Per quanto riguarda l’ideologia della globalizzazione, vorrei dare qui la seguente caratterizzazione: ciò che abbiamo visto rivelarsi in questi ultimi decenni -cioè dall’inizio degli anni ’70- è una folle fede in una specie di perpetuum mobile finanziario, che significa supporre che la ricchezza possa essere creata semplicemente attraverso transazioni finanziarie o attraverso i cosiddetti ‘strumenti finanziari.’ Questa fede era evidente in alcune pratiche ed atteggiamenti che includono, per esempio, alcune politiche sulla base delle quali gli organismi regolatori sono stati deliberatamente indeboliti o completamente annullati, nel nome della liberalizzazione economica. Sarebbe qui da ricordare il ruolo del Presidente della statunitense Federal Riserve Alan Greenspan, durante questo periodo cruciale. Non si sottolinea mai abbastanza che l’autorità regolatrice dello stato è stata completamente erosa in favore di quello che veniva, ed è tuttora chiamato, ‘il libero fluire’, non solo di beni, ma anche di denaro, oltre i confini; e tutto ciò è stato ideologizzato attraverso lo slogan della globalizzazione. Il Forum economico mondiale di Davos è stato indubbiamente utile come strumento ideologico e come luogo di pubbliche relazioni per promuovere questa ideologia.

Ad ogni modo, al posto di un nuovo ordine mondiale, come quello programmato da George Bush padre nel 1991 davanti al Congresso degli Stati Uniti, uno stato di disordine globale è stato la conseguenza dell’abdicazione degli stati alla propria sovranità, a vantaggio dell’economia e delle politiche finanziarie. Lo stato ha dovuto gradualmente lasciare spazio ai potenti, ma completamente inaffidabili, poteri forti transnazionali. Con lo slogan della globalizzazione, il ‘ciclo dell’ingordigia’ nel quale l’economia è stata coinvolta, ha causato una crisi sistemica non solo degli scambi economici internazionali, ma delle relazioni internazionali in generale.

Nonostante l’importanza del problema, i propugnatori dell’ideologia neoliberale insistono ancora nel voler risolvere la crisi cercando di affrontarne solamente i sintomi, e ingaggiano un’ostinata battaglia con la realtà, quando si tratta di identificare le reali cause del collasso della globalizzazione: cioè, prima di tutto, l’esclusione di tutti i confini non solo geografici, ma anche morali che devono governare l’economia.

Perciò, sarebbe il caso di tornare alle basi e prestare attenzione alle fondamentali considerazioni filosofiche relative alla moneta. Varrebbe la pena, in questo contesto, di riconsiderare i principi della finanza che sono stati delineati quasi due millenni e mezzo fa, nel periodo della filosofia classica greca. Aristotele ci avvertì che la moneta non ha un valore naturale, che non è un bene come un altro. Il suo valore è determinato dagli esseri umani, cioè dai governi, attraverso una convenzione (conventio) o legge – νόμῳ (nómo) nella terminologia greca –per esempio attraverso una determinazione, un ruolo. Per centrare il punto, Aristotele si riferiva all’etimologia della parola greca per moneta, cioè nómisma (νόμισμα), che deriva da νόμος, la parola greca per legge o regolamento.

Secondo la filosofia aristotelica, la moneta è lo strumento che consente lo scambio dei beni perché permette di misurare il valore degli stessi. Assicura la commensurabilità dei beni che vogliamo scambiare. Se il carattere ‘numismatico’ della moneta – se possiamo alludere all’etimologia del termine greco nomisma – viene ignorato, le valute vengono commerciate come se fossero beni. La speculazione sulle valute internazionali come strumento per generare ricchezza con metodi artificiali, è stata infatti una delle cause della crisi finanziaria internazionale, come ormai ben sappiamo.

Ancora di più, il valore della moneta, ed in particolare il relativo ‘peso’ di ogni valuta nel mercato di scambio internazionale, deve essere radicato nella ricchezza rappresentata dall’economia reale. Non esiste una cosa come il valore astratto della moneta. Se questa verità di base è trascurata o ignorata, la speculazione finanziaria prospererà e i cosiddetti strumenti finanziari continueranno ad essere creati all’infinito –come se la ricchezza reale potesse essere generata in maniera fittizia e illusoria. In sostanza, queste sono tutte meramente transazioni artificiali, se non inserite in attività dell’economia reale che creano valore.

Questo è il motivo per cui la generazione di ricchezza attraverso l’utilizzo dei soli ‘strumenti finanziari’, giusto per nominarli: lo scambio di valute, i titoli, i futures e così via, ha infatti la natura del gioco della piramide. La piramide inevitabilmente collasserà nello stesso momento in cui l’economia reale reclamerà i suoi diritti e i popoli, da un momento all’altro, perderanno la certezza del mito della creazione della ricchezza attraverso la speculazione, uno sviluppo che porrà termine, drasticamente, al ciclo dal quale qualsiasi nuova somma di liquidità viene fornita.

Non solo a livello filosofico, ma anche su un più largo contesto di responsabilità sociale, è importante evidenziare la natura intrinsecamente non etica della speculazione finanziaria, a livello di valute, obbligazioni, futures etc. In questo modo, la ricchezza – quella artificiale – è creata a spese degli altri che vengono effettivamente espropriati durante l’inevitabile collasso del sistema, come siamo testimoni proprio adesso. Richiamandosi all’enfasi che il filosofo greco ha posto sull’innaturale modo di creare ricchezza attraverso mere transazioni finanziarie, bisognerebbe essere al corrente del famoso detto presente nel primo libro della Πολιτικά (Politiká), nella parte 10, dove viene condannata la procedura per cui qualcuno ‘si arricchisce dalla moneta stessa e non utilizza la moneta per come dovrebbe essere usata naturalmente’.

È una mente libera a ricordarci, da 2500 anni., l’importanza dell’economia reale. Il verdetto aristotelico non è solo diretto a trarre interessi dalla moneta, ma si applica alla speculazione finanziaria in generale, evidenziando la natura improduttiva di questo genere di attività semi-economica. Questo approccio è maggiormente illustrato da altre frasi all’interno del trattato, relative cioè alla ‘nascita della moneta dalla moneta’ e della ‘riproduzione della moneta’ come la più innaturale forma di acquisizione di ricchezza.

 

 

III

 

E’ arrivato il tempo di rivedere le intuizioni dell’età dell’oro della filosofia greca, riguardo la natura della moneta come strumento per determinare il valore dei beni, per rendere questi beni comparabili e perciò permettere gli scambi economici; e alla fine, per considerare i principi etici che governano questa attività. Si dice spesso che ‘la globalizzazione non conosce confini’.

Dobbiamo anche prestare attenzione al fatto che il metodo di scambi economici e finanziari internazionali, che viene idealizzato in quest’affermazione comune, non solo non ha confini geografici, ma spesso viene anche concepito come privo di limiti morali. Come risultato di tale percezione, stiamo affrontando questa crisi di dimensioni epocali. Una delle ragioni di base di questa situazione difficile – che ancora molti non vogliono riconoscere- è che le regole morali nel comportamento economico, sono state sistematicamente ignorate e spesso rigettate.

Questo riprovevole stato di cose rende imperativo riflettere sui principi dell’attività economica in quanto tale. In particolare, dovremo riconsiderare quelle idee che collegano la finanza all’economia reale, cioè alla fabbricazione dei beni, e dovremmo prendere la palla al balzo per propagandare la creazione di un genuino nuovo ordine economico internazionale, che sia basato non sul mito della globalizzazione e sulla filosofia dell’avidità, ma sui principi della creazione di ricchezza orientati al bonum commune, il bene comune. Questo implica, inter alia:

— Il riconoscimento dell’autorità regolatrice dello stato, come parte integrante dell’esercizio della sovranità dello stato;

— La fondazione di meccanismi regolatori a livello internazionale, attraverso accordi intergovernativi, ad esempio accordi conclusi sulla base dell’eguaglianza di sovranità;

— Il divieto di pratiche economiche palesemente non etiche, che sono basate sulla speculazione invece che su attività genuinamente economiche (che sarebbero basate su aspettative razionali). Il brand ‘globalizzato’ del ‘capitalismo casinò’ include metodi come la cosiddetta ‘vendita allo scoperto’ di azioni e ogni genere di transazione legata al mercato dei derivati e alle speculazioni sulle valute; in generale, è evidente come tutte le pratiche che sono basate sulla creazione di ricchezza individuale, causino la perdita di valore delle valute, delle azioni etc. Cioè, nell’ottenere sistematicamente e deliberatamente guadagni speculando sulle perdite degli altri, nei fatti attraverso una vera e propria ‘espropriazione’ degli altri partecipanti, in un gioco non equo. Da non dimenticare in questa lista non esaustiva di pratiche dubbie, tutte le transazioni che si basano sul fondamento logico dell’azzardo, cioè tutte le forme di scommesse finanziarie che vengono ancora considerate, da molti finanzieri, una forma legittima di attività economica.

Riassumendo questo breve decalogo delle conseguenze dei mercati non regolati e di una falsa e artificiale percezione della natura della finanza, si potrebbe dire che in questo momento, siamo testimoni della bancarotta della globalizzazione come epitome della ideologia neoliberale. Apparentemente inattesa – questo è ciò che dicono – dagli ideologi neoliberali, la globalizzazione ha ormai mostrato la sua faccia reale; si è dimostrata un’illusione di ricchezza, guidata dall’avidità individuale. In quanto tale, la dottrina della globalizzazione si è dimostrata irrazionale. La fede nel miracolo della creazione di ricchezza attraverso gli strumenti di un economia basata su scambi non regolati e virtualmente senza confini, ha infatti tutte le caratteristiche dell’isteria di massa.

E’ innegabile il fatto che noi viviamo in un mondo sempre più interconnesso. Il corso della storia e lo sviluppo della tecnologia in particolare, non possono essere invertiti. Ad ogni modo, nelle attuali circostanze, è di massima importanza che i leader e i cittadini che si impegnano per il bene comune, facciano qualsiasi cosa sia nelle loro possibilità per fermare i cicli continui di avidità che hanno rovinato le vite di diverse generazioni, di milioni di persone, nel corso della storia del ‘libero mercato.’

Il casinò globale in cui il mercato finanziario deregolamentato è degenerato, deve essere chiuso una volta per tutte. Non c’è dubbio che questo obiettivo possa essere raggiunto solo dall’azione comune degli stati come attori principali della politica internazionale e, per questo, garanti dell’ordine globale. Solo passi audaci, intrapresi di comune accordo, verso una regolazione responsabile della finanza, renderanno possibile la fondazione di ciò che i membri delle Nazioni Unite avevano immaginato, cioè un nuovo ordine mondiale equo come sistema di relazioni internazionali all’interno del quale, tutte le nazioni possano guidare le proprie politiche economiche ed essere coinvolte negli scambi economici, sulla base di uguali sovranità. Questa era l’idea dietro la risoluzione della Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1974, e – in vista della crisi globale senza precedenti – oggi essa merita maggiore considerazione.

 

(Traduzione a cura di Massimo Janigro)

 

 

* Hans Koechler è presidente dell’IPO – International Progress Organization (Vienna – Austria). Il presente articolo costituisce la relazione presentata al World Public Forum “Dialogue of Civilizations” and Klub Rusko / Dialogues in Prague, svoltosi aPraga, Repubblica Ceca il 14 maggio 2009.


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