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Continua la sfida contro Bashār al-Asad

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Sebbene Damasco abbia iniziato il suo percorso di riforme, il boicottaggio NATO persiste nel tentativo di destabilizzare il governo di Bashār al-Asad. Le recenti manovre introdotte, infatti, intendono condurre la Siria ad un cambiamento libero dalle ingerenze esterne, in quanto promosso esclusivamente dalle forze sociali interne del paese. Tuttavia, queste misure non hanno placato le preoccupazioni del blocco filo-atlantico per il quale Damasco costituisce ancora una grossa opportunità. La Siria, infatti, rappresenta, un baluardo importante contro l’imperialismo. Alleato del vicino Iran, il paese è anche un valido supporto al Libano resistente e alla lotta palestinese. Pertanto, se l’obiettivo è quello di garantire all’entourage NATO l’avanzata verso il Vicino Oriente, nessuna riforma, promossa da al-Asad, potrà soddisfare le richieste occidentali.

I recenti sviluppi della situazione siriana

Fin dall’inizio delle proteste, la vicenda siriana ha mostrato caratteri comuni con quella libica. Per i due paesi, infatti, era stato già da tempo predisposto un identico copione. Tuttavia, fino ai disordini del 2011 è parso difficile trovare il pretesto per darne attuazione. A tal proposito, alcune fonti raccontano con accuratezza il preludio della presunta “primavera araba”. Il sovvertimento del governo siriano, insieme a quello libico e a quello libanese, era annoverato nell’agenda politica di Washington fin dal 2002. All’epoca, John Bolton, sotto segretario di stato del governo Bush, annunciò l’obiettivo dell’amministrazione statunitense. Stando alle fonti[1], il progetto prevedeva la realizzazione di un colpo di stato militare parallelamente nei tre paesi, ma, avrebbe avuto un principio di realizzazione solamente in Libia dove sarebbe stato sventato dallo stesso Muʿammar al-Qaḏḏāfī.

Nel caso siriano, era stata scelta la città di Daraa, situata al confine con la Giordania. Per la sua posizione, la città si prestava alla realizzazione del complotto anche in virtù della sua vicinanza con le alture del Golan, strappate da Israele alla Siria nel 1967. I disordini scoppiati nel mondo arabo hanno fornito l’occasione adatta per alimentare le speranze dell’avanzata occidentale nel Vicino Oriente. Secondo le fonti, esattamente come accadde anche a Bengasi, sarebbe stato costruito un banale incidente che avrebbe fatto degenerare la situazione e approfittato di un preesistente malcontento popolare. Pertanto, tale malessere, che Bashār al-Asad non ha mai negato, è stato cavalcato da fattori di accusa internazionale per riscaldare il contesto politico interno. Come anticipato, il presidente siriano non ha mai negato la legittimità delle proteste, né che le proposte di cambiamento fossero delle alternative ragionevoli. Piuttosto, il presidente ne ha deplorato l’utilizzo da parte occidentale. Il gruppo dei presunti ribelli, infatti, sarebbe più una squadra di mercenari, al soldo della CIA e del Mossad, reclutati dalla famiglia saudita, fedele alleato di Washington. In questi mesi, ben equipaggiati di armi, munizioni e denaro, i presunti rivoltosi hanno ripetutamente aggredito proprietà pubbliche e private compiendo violenze sui civili senza suscitare nemmeno un po’ di indignazione da parte dei paesi che si assurgono a tutori dei diritti e della democrazia. Nell’ultimo mese, queste milizie armate hanno ucciso indisturbatamente diversi civili, tra cui contadini, medici e funzionari della pubblica amministrazione (per citare solo alcuni esempi, il dottor Mohamed al-Omar dell’Università di Aleppo, il figlio del Gran Mufti di Siria, il primario di chirurgia toracica Hasan Aid, il vice preside della facoltà di Architettura, Mohamed Ali Aqil e numerosi altri cittadini innocenti). Le loro azioni, pertanto, più che dal desiderio di democrazia e di tutela dei diritti, sembrano essere mirate alla destabilizzazione del governo di al-Asad.

A conferma dell’emulazione dello scenario libico, inoltre, si aggiunge la costituzione del Consiglio Nazionale di Transizione siriano. Questo, pur raccogliendo i presunti ribelli, è stato designato, esattamente come nel caso libico, dalla discrezionalità occidentale come il legittimo rappresentante del popolo siriano.

La strumentalizzazione delle mancanze democratiche del governo e dei morti nelle proteste è percepita anche da reali movimenti di opposizione siriani che, da tempo, chiedono un programma di riforme. Infatti, esiste in Siria un’opposizione sana, protagonista di passate manifestazioni, che, attualmente, condanna la campagna diffamatoria contro il governo siriano. Non a caso, questi movimenti rifiutano di unirsi alle milizie stipendiate da Washington e accettano il percorso di riforme promosso da al-Asad.

Una parte del popolo siriano, infatti, considera la manovra del presidente, la sana premessa per una trasformazione che non ceda ai ricatti NATO e che non comprometta la sovranità nazionale. A tal proposito, la solida consapevolezza patriottica costituisce uno dei pilastri di legittimazione del paese. La Siria, infatti, possiede delle radici fortemente ideologizzate riconducibili, in parte, allo storico progetto della “Grande Siria” e, ancora oggi, quei movimenti che auspicano il ripristino del passato storico, non intendono cedere alle logiche imperialistiche.

Dall’inizio dei disordini, al-Asad ha parlato due volte[2] alla nazione senza mai negare le esigenze del suo popolo. In realtà, il presidente non sembra essere venuto meno al suo impegno. Le recenti manovre, infatti, si concentrano su due pilastri: le riforme politiche ed economiche e lo smantellamento dei gruppi armati. Al riguardo, il Parlamento ha approvato la nuova legge elettorale che stabilisce il diritto di voto libero, eguale e segreto per tutti i maggiori di 18 anni. Un altro testo ha permesso la liberalizzazione dei mezzi di comunicazione. Inoltre, la legge sul multipartitismo, approvata di recente, consente la costituzione libera dei partiti politici purché il loro programma sia conforme alle norme internazionali sulla tutela dei diritti umani. Attualmente, invece, si discute del nuovo testo costituzionale.

Nonostante ciò, la campagna diffamatoria contro la Siria non si arresta. In aggiunta, l’accanimento contro il paese è amplificato dalle misure economiche di sabotaggio attuate dagli USA in collaborazione con i sauditi. Nello specifico, Thierry Meyssan spiega che l’erogazione delle risorse petrolifere siriane, sebbene siano presenti in misura ridotta rispetto a quelle dei paesi limitrofi, necessita del sistema bancario occidentale. Pertanto, il fronte filo-NATO è riuscito ad attaccare la Siria congelando il sistema e impedendone le transazioni.

Per completare l’operazione di destabilizzazione mancava un ultimo passo: una risoluzione ONU che ne consentisse l’occupazione. Ancora una volta, secondo l’esempio libico.

Il voto al Consiglio di Sicurezza

Nel corso della votazione della risoluzione 1973, che permetteva l’aggressione contro la Libia, i delegati russo e cinese, astenendosi, avevano rifiutato di esercitare il loro diritto di veto. Circa la proposta di voto sull’eventuale risoluzione destinata alla Siria, gli eventi sono andati diversamente da quanto auspicato dall’asse USA-Unione Europea.

Il testo sottoposto alla votazione del Consiglio di Sicurezza è stato promosso dall’Europa e, in particolare, dalla Francia. Una prima formula chiedeva la fine delle violenze, il rispetto per i diritti umani e prevedeva che, qualora la Siria non si fosse adattata alle richieste, venissero impiegate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU delle “misure mirate, incluse delle sanzioni”[3]. Contro questa versione, Cina e Russia hanno proposto una formula che sanciva fermamente il principio di non interferenza e il rispetto della sovranità del paese. Tuttavia, gli Europei, con i francesi ancora una volta in prima linea, hanno rifiutato l’idea russo-cinese proponendo la semplice introduzione di modifiche al testo originario. In sintesi, la proposta francese, poi ammessa alla votazione, sanciva che il Consiglio di Sicurezza avrebbe potuto adottare delle “misure mirate”. Come ha fatto notare giustamente la delegazione russa, anche in questo caso, le “misure mirate”, seppure non specificate, avrebbero potuto includere manovre di ogni genere.

Il 4 ottobre, il Consiglio di Sicurezza ha votato la formula proposta dagli europei. Russia e Cina, servendosi del veto, hanno impedito la manovra contro la Siria. Successivamente alla votazione, i media hanno lasciato spazio all’indignazione delle potenze europee e in particolare a quella francese. Sebbene siano stati i personaggi più discussi, né il delegato russo, Vitaly Churkin, né il rappresentante cinese, Li Baodong, hanno trovato ampio spazio nei mezzi di informazione. Che questi abbiano agito esclusivamente in nome dell’interesse siriano potrebbe essere discutibile, tuttavia, le ragioni da loro riportate sembrano meritare attenzione.

Tra gli argomenti esposti dall’ambasciatore Vitaly Churkin e dal delegato cinese, Li Baodong, quello che riveste maggiore rilevanza riguarda il principio della tutela della sovranità siriana. Infatti, come insegna l’aggressione contro Tripoli, il nuovo testo avrebbe creato un altro caso libico. A tal proposito, il portavoce di Mosca, ha spiegato che l’aggressione al Colonnello ha palesemente mostrato alla comunità internazionale le modalità con cui uno strumento del Consiglio possa essere facilmente utilizzato per autorizzare interventi militari celati dalla targa della salvaguardia dei diritti. In sintesi, le vicende NATO in Libia non devono essere interpretate come un modello, come il testo sotto votazione avrebbe voluto fare, piuttosto sono da intendersi come un percorso da evitare.

Pertanto, ad una nuova ipotesi di occupazione NATO, Russia e Cina hanno preferito manifestare fiducia nei confronti del presidente al-Asad e del suo recente processo di riforme. Sebbene le manifestazioni rivelino un generale malessere interno, affinché il cambiamento sia il più sano possibile sarebbe bene dare alle riforme recentemente approvate, il tempo di produrre i loro effetti sul piano pratico. Il delegato russo, inoltre, ha sollevato l’allarme sui presunti ribelli. Il generale sostegno della comunità internazionale a queste milizie sembrerebbe piuttosto preoccupante, perché non rappresentative del popolo e perché fornite di armi e munizioni in grosse quantità.

Attualmente, le difficoltà economiche e il sabotaggio ritardano l’efficacia degli sforzi di al-Asad. Anche in tale occasione, i mezzi di comunicazione hanno condotto ad una percezione errata degli eventi. Le rivolte arabe, piuttosto che essere state analizzate caso per caso, sono state descritte con toni leggendari ed epici che hanno trovato facile consenso nell’opinione pubblica. Il veto esercitato dalla Russia e dalla Cina rappresenta una mossa di valore anche dal punto di vista mediatico, ragione per la quale ad essa non è stato dato ampio spazio. Tuttavia, la determinazione dell’Europa e degli Stati Uniti non sembra dimostrare un’arresa. Non è escluso, infatti, che questi riescano a trovare delle altre vie per legittimare l’auspicata impresa contro la Siria.

[1] http://www.voltairenet.org/The-plan-to-destabilize-Syria

[2]

[3] “targeted measures, including sanctions”.

Laura Tocco è dottoranda presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari.

 

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