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Lo sguardo argentino al futuro delle relazioni internazionali

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Il 21 Settembre 2011, in occasione della 66ª Assemblea Generale dell’Organizzazione Delle Nazioni Unite, il presidente argentino Cristina Fernández ha tenuto il suo discorso affrontando diverse tematiche rilevanti. Pur allineandosi, sostanzialmente, ai contenuti espressi in occasioni simili dagli altri presidenti dell’area latino-americana, l’intervento della Fernández offre tuttavia una serie di spunti interessanti per un’analisi dell’evoluzione economica e politica della Nazione latinoamericana.

 

“… sono esattamente 8 anni che, il presidente del mio Paese, dottor Néstor Carlos Kirchner, a quattro mesi appena dall’assumere l’incarico di Presidente della Repubblica Argentina con appena il 22% dei voti, parlava davanti a questa assemblea e data la situazione del nostro Paese, la Repubblica Argentina – che era caduta in default nell’anno 2001, che aveva cifre che si avvicinavano a un quarto della popolazione senza lavoro, cifre di povertà superiori al 50% – pianificava la necessità, già all’epoca, di riformare gli organismi multilaterali di credito, specialmente il Fondo Monetario Internazionale ed anche gli organismi politici di questa onorabile organizzazione.[…] In realtà siamo stati vittime di ciò che io considero essere “cavie da laboratorio” delle politiche neoliberiste degli anni ’90. Molte cose sono accadute da quel momento in cui l’ Argentina ebbe il debito più grande, almeno fino ad ora, di tutta la storia dell’umanità, 160 mila milioni di dollari […] Inoltre chiediamo ancora una volta la riforma di questa importante organizzazione che rappresenta il multilateralismo, qualcosa che abbiamo definito sempre come la necessità di un mondo più pluralista, più diverso, e democratizzare gli organismi politici come le Nazioni Unite e fondamentalmente il suo Consiglio di Sicurezza. Noi non condividiamo la necessità di ampliare i membri permanenti, ma al contrario, crediamo che è necessario eliminare la categoria dei membri permanenti ed anche eliminare il diritto di veto che impedisce realmente che questo Consiglio di Sicurezza compia la vera funzione per la quale fu concepito …”

 

In questa prima parte il presidente Fernández, oltre a richiamare il ben noto default del 2001, pone la sua attenzione su un problema ormai cronico degli organismi internazionali (FMI, BM, ONU): la loro ristrutturazione. Se pur concepiti per aiutare le economie e migliorare le relazioni internazionali, questi organi, non sempre hanno contribuito ad un concreto progresso. Prendiamo ad esempio il FMI e la BM: questi due organismi, dalla loro nascita, hanno sempre agito da organi volti alla liberalizzazione dei mercati e alla privatizzazione dei settori strategicamente rilevanti. Quando uno Stato chiede l’intervento di tali organismi per risolvere gravi problemi di debito, questi forniscono il loro aiuto, ma impongono anche “condizionalità” (all’interno di Programmi di Aggiustamento Strutturale). Queste ultime prevedono forti interventi sull’economia interna e sulla moneta nazionale: una svalutazione della moneta accompagnata dalla privatizzazione e deregolamentazione della gran parte delle aziende pubbliche contestuali alla riduzione delle barriere al mercato esterno. Con tale meccanismo si favorisce l’accesso di investitori stranieri (fino al 2000 prevalentemente statunitensi od europei) che monopolizzano i settori più redditizi ad un costo relativamente basso e danno vita ad una produzione volta a soddisfare mercati esterni (di norma quelli di origine dell’investitore privato). Quindi si finisce per ottenere uno sfruttamento a basso costo dello Stato “neo-liberale” con flussi in uscita sia di risorse che di capitali.

Pur dimostrando grossi limiti, tali organi non hanno mai subito importanti riforme ed hanno continuato a ricoprire in concreto, il ruolo di “controllori di matrice occidentale dell’economia”.

 

Proseguendo, la massima rappresentante argentina ha voluto porre l’accento sui risultati economici ottenuti dalla sua nazione dal 2001 ad oggi:

 

“… in questi 8 anni l’Argentina ha risanato il suo debito con una riduzione del suo peso sul PIL, portandolo dal 160% a meno del 30%.
Gli indici di povertà e indigenza si sono ridotti di molto, ma dobbiamo ancora continuare con forza. Abbiamo un indice di disoccupazione che è uno dei più bassi di sempre ed abbiamo completato il ciclo di crescita economica più importante nei nostri 200 anni di storia. Della nostra Regione, l’America latina, tra i Paesi emergenti che sono cresciuti in questi ultimi anni, l’Argentina ha consolidato il suo indice di crescita e sta pagando il suo debito senza ricorrere al mercato dei capitali. I numeri non li dirò tutti, ma ce ne sono di eloquenti. Nell’anno 2003 destinavamo un 2% del nostro PIL all’educazione ed un 5% al pagamento del debito. Oggi l’Argentina destina 6.47% del suo PIL all’educazione ed un 2% al pagamento del debito…”

 

Qui la presidentessa pone l’accento sui grandi passi in avanti compiuti dall’economia argentina dopo essersi risollevata dal default del 2001. Va aggiunto che la programmazione economica iniziata dal presidente Kirchner- e portata avanti da sua moglie- si è basata su una politica di Stato interventista nei settori chiave dell’economia come quello minerario e dei trasporti: in quest’ultimo si è agito per rivitalizzare aziende logore e iper-sfruttate come l’Aerolinas Argentinas. Buenos Aires ha concentrato, inoltre, la sua attenzione su un massiccio miglioramento e potenziamento infrastrutturale per porre basi solide al proprio sviluppo.

D’altra parte va detto che, sino ad ora, per far fronte alle esigenze della popolazione – riduzione tasso di povertà e riduzione disoccupazione – non si è agito con una politica attiva, ma utilizzando fortemente misure assistenzialistiche. Queste, pur dando, dal punto di vista statistico, risultati nel breve periodo, stentano a dimostrarsi validi strumenti per uno sviluppo socio-economico con proiezione futura.

Altro punto cruciale per migliorare l’economia nazionale, sarà trovare un equilibrio nel settore agrario tra la proprietà latifondiaria e la piccola media impresa. Finché tale settore rimarrà controllato da pochi proprietari terrieri, sarà difficile ottenere una diversificazione della produzione agricola ed uno sviluppo efficiente delle risorse disponibili.

 

Tornando al discorso della Fernández, c’è spazio ovviamente anche per la crisi economica mondiale:

 

“… Se si guarda al rapporto tra PIL e stock finanziario nella decade dell’80, c’è un rapporto di 1 ad 1. Cioè, c’era uno stock finanziario che era uguale a ciò che produceva il mondo in beni e servizi.
A partire dalla decade del ‘90, queste cifre precipitano geometricamente e si arriva all’anno 2008 con lo stock totale
finanziario, l’attivo finanziario nel mondo, che è il 3,6 del PIL globale; questo formidabile spread tra quello che produciamo e ciò che c’è, è ciò che io chiamo “economia dell’enter” , perché in realtà se andiamo a valutare tali attività, sono solamente il digitare “enter” su un computer per traslocare da un posto all’altro, da una moneta all’altra e produrre volatilità come mai si è visto nei mercati e crisi ricorrenti dove le borse salgono e cadono tutti i giorni, creando la distruzione di migliaia di posti di lavoro, ma anche redditività per alcuni (ovvero persone che guadagnano con il crollare delle borse).
Lo ripetiamo ancora una volta, alla luce della nostra esperienza, che non pretende di essere un modello, c’è la necessità che gli organismi multilaterali di credito lavorino fortemente in una regolamentazione in materia di movimenti di capitali a livello globale e in materia di speculazione finanziaria.
Senza questo, sarà impossibile raggiungere la tanto menzionata stabilità nei mercati ed affrontare il discorso riguardo le economie emergenti, che finora hanno contribuito alla crescita dell’attività economica mondiale, così come il discorso sui Paesi sviluppati. E’ fondamentale che questo sia capito, perché oggi c’è speculazione sugli alimenti, ieri c’era sul petrolio e domani ci potrebbe essere sulle caramelle alla menta se daranno redditività e si ha lo spostamento dei capitali senza nessun tipo di controllo, né regolamentazione, da una parte all’altra del mondo…”

 

Esiste ben poco da approfondire su un’analisi così chiara e corretta dell’attuale situazione economica globale, per di più trattasi di argomentazioni già vagliate e dibattute dagli altri presidenti dell’area. Bisognerebbe chiedersi – piuttosto – quanto le economie consolidate -e al collasso – dell’occidente siano propense a rivalutare un sistema che permette loro di mantenere il controllo totale dei giochi di forza geopolitica e geoeconomica.

Proprio in merito a tali strategie centenarie riportiamo di seguito un altro estratto del discorso del presidente argentino:

 

“… Nell’anno 2013 si compiono i 180 anni da quando noi argentini fummo costretti a sloggiare “manu militari”, dalle nostre isole Malvinas (le Falkland in inglese). L’anno prossimo ci sarà il trentesimo anniversario di un episodio che vide come protagonista il Regno Unito, commesso dalla dittatura più terribile di quelle di cui si ha memoria e delle quali fummo anche vittime proprio noi argentini […] Ovviamente credo che non ci sia bisogno di sottolineare il fatto che nessuno può avere un dominio territoriale a più di 14.000 km d’oltremare; è chiarissimo che è un’occupazione illegittima. Nonostante ciò, invitiamo ancora una volta il Regno Unito a compiere la risoluzione delle Nazioni Unite; […] L’Argentina non ha intenzione di aggravare la situazione di nessuno, però è giusto anche che questa assemblea ed il Regno Unito prendano coscienza che è necessario dar compimento alla risoluzione.
Non possiamo stare 180 anni, 30 anni, come non può stare la Palestina pellegrinando durante decenni e decenni per tenere un posto nel mondo e, meno ancora, gli Argentini per reclamare questo territorio che ci spetta legittimamente …”

 

Qui si evidenza una tematica strategicamente rilevante per l’Argentina e le future strategie della stessa. Le isole Falkland nascondono nei fondali marini un importantissimo giacimento di petrolio. Trattandosi della più importante fonte energetica, capace di garantire ingenti flussi di capitale e/o ridurne la fuoriuscita verso mercati esterni, si pone quale criticità per una contesa di non poco conto tra Regno Unito – che ne detiene la sovranità – e l’Argentina, che solleticata dalla vicinanza della ricchezza, ambisce ad acquisirne i diritti. Si prospetta quindi un’interessante contesa che sicuramente cavalcherà tematiche patriottiche nel tentativo di celare le motivazioni, meno nobili, ma più reali del controllo delle risorse preziose.

Al momento siamo alle prime scaramucce: dichiarazioni come quella qui riportata e la limitazione della navigazione delle acque argentine con l’obbiettivo di intralciare le trivellazioni imminenti. Ma tutto ciò appare come un semplice preludio ad attriti più rilevanti.

Dall’estratto qui riportato si rileva un ulteriore argomento, che viene evidenziato anche in altre parti del discorso non riportate: riconoscere la sovranità palestinese. Più che argomentare sul tema palestinese, ci interessa notare come la Fernández, con questa affermazione, dia all’Argentina un profilo autonomo e consapevole nelle relazioni internazionali. Non più accomodante nei confronti dei “poteri forti”, ma come molti altri Stati emergenti, Buenos Aires appare desiderosa di porsi quale interlocutore di rilevo nelle politiche internazionali – si guardi anche la forte volontà di dar vita al G77 .

 

Per concludere Cristina Fernández esprime un augurio importante:

 

Dio illumini tutti coloro che devono prendere decisioni,n on in vista delle elezioni, ma in vista del destino del mondo nei prossimi decenni.”

 

Così facendo sottolinea l’importanza di una programmazione economico-politica di medio-lungo termine capace di rendere concretamente il sistema economico globale stabile.

Ed è proprio da qui che si dovrebbe partire per dare una prima e concreta risposta alla crisi economica che ci coinvolge.

 

*William Bavone è laureato in Economia Aziendale (Università degli Studi del Sannio, Benevento)

 

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